giovedì 19 marzo 2015

IL POTERE DELLA PAROLA


“Ascolta, Paula, ti voglio raccontare una storia, così quando ti sveglierai non ti sentirai tanto sperduta. Non so come raggiungerti, ti chiamo, ma non mi senti, perciò ti scrivo”
Queste sono le parole della scrittrice Isabel Allende nel romanzo Paula, dedicato alla figlia colpita da una grave malattia che la porterà alla morte. “La morte vaga per i corridoi e il mio compito è di distrarla perché non trovi la tua porta”. Il mezzo al quale la scrittrice si affida è la parola, fonte di sfogo e di dolore.



“ La parola è un gran signore, che con piccolissimo corpo e del tutto invisibile, divinissime cose sa compiere; riesce infatti a colmare la paura, a eliminare il dolore, a suscitare la gioia e ad aumentare la pietà” ; questo è ciò che pensava Gorgia sulla parola, uno dei più grandi sofisti dell’antica Grecia, i quali fondarono le loro dottrine filosofiche sull’arte del saper parlare bene, con l’intento di convincere gli interlocutori delle loro tesi.



“I sofisti” di oggi potrebbero essere artisti e poeti che esprimono emozioni e stati d’animo affidandosi alla parola, inducendo il lettore a riflettere e a ricorrere costantemente all’intelletto.

E’ possibile esprimere ciò che si pensa attraverso l’uso della parola: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. E’ l’articolo 21 della Costituzione Italiana.
Purtroppo oggi la mancanza del diritto di parola è ciò che ha portato l’uomo a schierarsi contro popoli e culture differenti compiendo violenze inaudite. Ne è testimonianza il recente attentato compiuto a Parigi ad opera di due terroristi islamici contro la rivista settimanale satirica “ Charlie Hebdo”, rivendicando il loro Dio che era stato oggetto di satire da parte del giornale, impedendo in questo modo estremo la libertà di parola.




La parola può essere portatrice di importati cambiamenti. Gandhi, ad esempio, con la parola portò il grande messaggio della non violenza organizzando delle campagne in cui si discuteva di questi problemi. Sembra banale l’idea di avere la parola, ma non ci accorgiamo di quanto essa possa essere importante, tanto da essere considerata un “dono di Dio”  perché ha in sé un grande valore, permettendo agli uomini di rendersi liberi dai pregiudizi e da violenze di ogni genere.
Talvolta oggi la parola non ha lo stesso valore del passato: molte immagini particolarmente significative ed eloquenti sono in grado di trasmettere molto più di ciò che si può esprimere con una sola parola.
Ma è solo grazie ad essa se oggi conosciamo la nostra storia, il nostro passato ed è proprio grazie ad essa se riusciremo a scrivere il nostro futuro.

                     Nittolo Ilaria IVASU - Martino Desideria IVAL -Tersigni Ilaria IVASU 
                                           Liceo delle Scienze Umane - Liceo Linguistico

                                           Istituto Magistrale “Varrone” di Cassino    


Da sinistra: Martino Desideria, Nittolo Ilaria, Tersigni Ilaria


L'ESEMPIO DI SOCRATE

Socrate nacque ad Atene, nel 469 a.C., dallo scultore Sofronisco e dalla levatrice Fenarete. Fu educato alla maniera dei giovani benestanti. Egli fu un cittadino esemplare e ad Atene si distinse per il rispetto delle leggi e per la sua attività di educatore dei giovani. Fu un uomo serio ed equilibrato ma nel 403, caduti i Trenta tiranni e ritornati al potere i democratici, Socrate venne condannato a morte con la duplice accusa di misconoscere gli dei tradizionali della città, introducendo divinità nuove, e di corrompere i giovani.




Era la tarda primavera del 399 a.C. Per capire il processo a Socrate, intentato da un governo democratico, bisogna interrogarsi sul “personaggio Socrate”, sul suo carattere e sulle sue qualità morali. Egli non scrisse nulla, preferendo il contatto immediato con le persone, in particolare i giovani. Sulla sua figura abbiamo molte testimonianze indirette, tra cui quella di Platone, che fu suo discepolo. Nei suoi scritti, leggiamo che fisicamente Socrate non era un bell'uomo, ma aveva un animo eccezionalmente bello e nobile, coraggioso e forte.



 Ma perché, considerato l'esempio più limpido e coerente di uomo giusto, fu processato da un tribunale popolare di Atene e condannato a morte nel 399 a.C.?
Molti studiosi hanno analizzato la questione e sono giunti alla conclusione che, finito il governo illuminato di Pericle (V secolo), la città di Atene dovette subire la dittatura dei Trenta tiranni e, alla loro caduta, il ritorno di un governo democratico molto debole e precario. Egli fu condannato, dunque, in una fase di crisi della politica e della democrazia, in cui il potere avvertiva come una grave minaccia le istanze critiche di un personaggio popolare come lui. Questo filosofo così semplice e sorprendente veniva visto come elemento destabilizzante per i nuovi equilibri politici.
 Socrate, dopo essere stato condannato a morte, affrontò serenamente un mese di carcere e il giorno dell' esecuzione preferì lasciarsi morire con una coppa di veleno. Può essere considerato l'uomo più giusto e sapiente di tutti i tempi non solo per il suo rispetto delle leggi, alle volte ingiuste, ma perché, a differenza degli altri uomini, egli era consapevole di non sapere. Socrate si sentiva dunque investito di una missione divina: scuotere gli uomini dal loro torpore spirituale, costringerli a dubitare delle loro certezze.


Egli metteva in crisi i suoi interlocutori, insinuando in loro il dubbio. Il suo intento era quello di dimostrare che coloro che si reputavano sapienti non lo erano affatto, in quanto non conoscevano in profondità  quello di cui parlavano. A tal proposito egli adottava un metodo che si componeva di due momenti fondamentali: uno critico e negativo, l'ironia, che consisteva nel demolire le tesi dell'avversario, mettendole in ridicolo dopo aver finto di accettarle come giuste; l'altro costruttivo e positivo, la maieutica o "arte della levatrice", con la quale Socrate intendeva risvegliare nell'interlocutore il gusto della ricerca della verità attraverso un dialogo fatto di domande e risposte.

 Convinzione di Socrate, inoltre, era che le singole virtù, o competenze, non bastavano per realizzare una vita davvero soddisfacente e che era necessario raggiungere una visione unitaria della virtù, che veniva ad identificarsi con la filosofia stessa, ossia con quello che si può definire un vero e proprio stile di vita, votato alla ricerca. Da sottolineare, infine, la concezione socratica dell'anima. Per Socrate corrispondeva con la dimensione più profonda dell'uomo, ciò che metteva in guardia quest'ultimo da quello che doveva evitare. La cura dell'anima, attraverso la continua ricerca, era quindi fondamentale per il semplice motivo che l'anima era ciò che, secondo Socrate, qualificava l'uomo come tale.


                                                                                                 Martina Bellini
                                                                                                 Classe III ASU
                                 Liceo delle Scienze Umane - Istituto Magistrale di Cassino

Martina con la classe III Asu