martedì 9 febbraio 2016

LE NUOVE POVERTÀ: LA VITA, NIENT'ALTRO

Hanno perso tutto; le loro vite sono oscure, come una notte senza stelle. Hanno perso tutto; la loro quotidianità ,un tempo biasimata, ora rimpianta. Hanno perso tutto; la loro spensieratezza, la convinzione che alla fine capita sempre agli altri. Ma le vittime da sacrificare sull'altare della povertà sono state loro: i nuovi poveri. Le luci sfavillanti dell'Albero della Vita coprono le necessità e i bisogni dei nuovi poveri; ma nel dopo Expo è ancora più evidente che non possiamo restare impassibili di fronte alla drammaticità di queste vite. 

Vincent Van Gogh
Una importante azione di aiuto verso coloro che vivono queste drammatiche condizioni è svolta dalle numerose associazioni che donano loro un supporto .Ad esempio, il Banco Alimentare recupera eccedenze alimentari e le ridistribuisce gratuitamente ad associazioni caritative che svolgono una attività di assistenza verso gli indigenti. Di fronte alla tragicità di queste vite sospese non si può non notare che un gran numero di poveri è costituito dai minori. Si apre, in questo modo, un nuovo problema: l'esclusione sociale. Molte volte questi giovani sono tenuti fuori dalla società, non è riconosciuto loro il diritto o la possibilità di far parte di un gruppo, di godere di una prerogativa; sono estromessi dal sociale e, attraverso la logica irrazionale dell'abitudine all'omologazione del pensiero, non considerati idonei di fronte a coloro che sono stati più fortunati. 

Questo processo multidimensionale di allontanamento impedisce loro la piena partecipazione alla loro stessa comunità. Il poeta Inglese W.H.Auden affermava: "La fame non lascia altre scelte:amarsi gli uni con gli altri oppure morire".
Per comprendere a fondo il significato intrinseco di questa frase e, dunque, per immergersi a pieno nelle vite di queste persone, bisognerebbe partecipare alla loro quotidianità, recandosi in quello che è il punto di riferimento dei diversi clochard, ovvero la mensa della Caritas. Si farebbe parte di un mondo in continuo movimento, in cui alcuni non avrebbero mai immaginato di doversi trovare. Da qui, dunque, possiamo affermare che quella della povertà, molto spesso, non è una condizione che si acquisisce dalla nascita, ma può presentarsi all'improvviso. 


Ci colpisce,la povertà, fredda e impassibile ,e ci trasporta nella sua irregolare normalità. Negli ultimi anni, soprattutto a causa della crisi economica e alla conseguente formazione di nette diseguaglianze tra i redditi, le vite di molte persone sono state turbate, e si sono venuti a creare vari tipi di povertà, con effetti gravi e spesso duraturi.
La parola "povertà"può avere varie accezioni, e il concetto stesso di povertà è di interpretazione incerta e dibattuta: si vengono, così ,a creare due principali tipi di povertà: quella relativa e quella assoluta .

Rosario Capuana
La povertà relativa è quella che negli ultimi anni si è maggiormente diffusa; ha causato, in coloro che sono stati coinvolti dalla sua violenza, una situazione di malessere e di disagio, determinato da profondi squilibri interiori e dalla mancata corrispondenza tra valori e stili di vita, sintomo e allo stesso tempo conseguenza di mutamenti organici e strutturali. La lotta alla povertà ai fini di ottenere una società più equa ed omogenea è un tema etico sempre più ricorrente. È necessario, dunque, attuare politiche economiche allo scopo di arginare questo fenomeno. Una importante e vigorosa azione in questo senso è svolta anche grazie alla diffusione dell'informazione, alla introduzione di Internet e, quindi, alla globalizzazione. 

Tutti questi elementi hanno contribuito ad una maggiore sensibilizzazione della società civile, che si è resa conto che non possiamo più fare finta di niente, non possiamo più permettere che quello della povertà diventi un fenomeno circoscritto ed isolato. La povertà ci ricorda che gli altri siamo noi. È entrata nelle nostre strade, nei nostri occhi, nelle nostre vite, in maniera così eclatante. Ha distrutto la nostra illusione di benessere. Non siamo nati per vivere questo, ma bisogna scegliere di vivere. È la sola risposta possibile.



Andrea Santo – V A

Liceo Linguistico 
 IMS “Varrone” – Cassino

lunedì 8 febbraio 2016

LETTERA APERTA AD UNA MENTE CHIUSA

Caro lettore,
Ti starai chiedendo come mai un ragazzo così giovane abbia tempo ed inchiostro da sprecare per te, invece che studiare oppure interessarsi alle frivole tematiche proprie di quest’età.
Ti risponderò senza preamboli o lunghe introduzione ornate da belle parole, ti risponderò e non solo cercherò in tutti i modi, e chissà se ci riuscirò, di afferrarti metaforicamente per il collo e darti tanti metaforici schiaffi in faccia.

Vladmir Kush

Perché parlo a te, uomo dalla mente costipata, parlo a te con il sangue negli occhi carichi di rabbia, perché sono impulsivo e vedere il tuo arbitrario agire nelle vite degli altri come se avessi, tu e solamente tu, il monopolio dell’agire umano accresce quel funesto e rabbioso fuoco di disgusto che arde in me.
Tu che con le tue filosofie di vita giudichi e conduci l’uomo, lo manipoli e lo muovi come il più abile maestro di scacchi muove le sue pedine, lo fai per i tuoi interessi o per gli interessi di chi si lascia muovere dalle tue labbra, e come una madre partorisci dalle tue idee un esercito di ben pensanti, giudici delle nostre vite e del nostro avvenire, giudici che direttamente ed indirettamente limitano e condizionano il nostro essere, opprimendo il diritto della libertà che non ci appartiene più e mai tornerà.



Legislatori con idee altrui basate sulla noncuranza ed una profonda negligenza del tutto, tralasciando  tutte le sfumature che compongo il mondo e considerando di esso solamente i colori primari, privati della loro mutevole e sconfinata essenza che ne rappresenta il reale sentimento di libertà, o forse un’ipotetica sbagliata metafora di quello che sbagliati preconcetti e stereotipi possono creare nell’immaginario collettivo.
Faccio oramai parte di un mondo dove la conoscenza è diventata un inutile ed ingombrante peso, dove l’agire si basa unicamente sul “LUI dice così” come se quel LUI conoscesse la sconfinata realtà del mondo, dove chi giudica e chi fa le leggi considera gli umani come macchine corrotte tutte dal medesimo virus, non accorgendosi della miriade di errori di calcolo che noi umani possiamo commettere anche involontariamente.

Ma ahimè vivo qui, su questa terra sbagliata, un pianeta che ha dato vita al suo stesso nemico, un nemico che in modo improprio si erge sulla vetta più alta del mondo e rivendica la propria paternità sul tutto, non accorgendosi di essere solamente una misera formica in una scatola non più grande di lui, ed il tutto che sfugge al suo controllo, e l’incontrollabile tutto, dove la repressione delle anime diventa l’unica giustificazione della paura di essere piccoli e indifesi, proprio come delle piccole formiche, ma non trovo giustificazioni per la Bestia che siamo diventati.
Alberto Sordi
                                                                                                       Cordiali saluti,                                                                                                                                                            ATLAS


PS
Non esorto nessuno a considerare vere le mie parole, ma chiedo solamente di fermarsi un attimo a riflettere su di un pensiero o un idea che si sparge nella mente e che contagia altri cervelli e costruisce menti non più autonome ma sinergiche.
Ed il meccanismo oramai corrotto, considerabile alla stregua di un industrializzazione dei  pensieri  o produzione in serie di cervelli.
Non c’è più spirito di umanità, siamo condannati all’estinzione del nostro essere reali, imperfetti, difettosi, unici ed umani.




Nicola Botta
 CLASSE IVA 
Liceo delle Scienze Umane
IMS “Varrone di Cassino

venerdì 1 gennaio 2016

VOLEVO FARE LA MAESTRA

Spesso non sappiamo dove iniziano i nostri sogni, ma sappiamo dove si interrompono. 
Il mio sogno si infranse l'estate in cui terminai la terza media, e mio padre decise che il mio percorso scolastico sarebbe terminato lì. Premetto che questa decisione non venne presa per mancanza di mezzi per sostenermi agli studi, ma per paura.
Sembra strano, ma fu così.






Lui, mio padre, l'uomo più importante della mia vita, mi aveva seguita con una costanza ammirevole, insegnandomi a leggere e scrivere. Ogni giorno veniva a prendermi a scuola, non mancava ad un solo colloquio scolastico, ed era sempre presente a tutte le recite. Ma, come tutti i genitori, aveva le sue paure: terminata la terza media, il fatto che io dovessi uscire fuori dal piccolo paese, frequentare una scuola lontana dove non poteva più vigilare sulla mia persona, per lui era insopportabile; probabilmente la riteneva una responsabilità che non riusciva ad assolvere.
Sperai da giugno a settembre in un suo ripensamento, ma nulla cambiò. 
Mi fece fare diversi corsi di taglio e cucito, e anche un corso di dattilografia. Devo dire che negli anni successivi, e ancora oggi, ho sempre portato avanti il lavoro sartoriale, riuscendomi ad adattare e a superare tante difficoltà.
A vent'anni mi sposai e a venticinque anni ero già mamma di tre figli. Il mio compito di madre è stato passionale, ho amato e messo i miei figli sempre al primo posto nella scala delle priorità, del resto come quasi tutte le madri.




Ho cresciuto in seguito i miei figli con la stessa dedizione e l’interesse con cui lo aveva fatto mio padre, cercando solo di non ripeterne gli errori e i limiti.
Ma i figli crescono, gli affetti vanno a mancare e lasciano un gran vuoto, però i sogni ritornano sempre al destinatario, il quale ne è stato anche il mittente. Così, qualche anno fa mi iscrissi, anche dietro  suggerimento dei miei figli, ad un istituto tecnico serale, l’unica possibilità di poter conciliare lo studio con i miei impegni familiari.
Ma mi accorsi presto che non era quella la scuola dei miei sogni. I corsi si svolgevano nel pomeriggio, con “studenti” motivati soprattutto a prendere il cosiddetto “pezzo di carta” e, per di più, con materie per me poco congeniali.


A Sx la prof. Molle che "interroga" Assunta
Io amo la letteratura, la filosofia, la pedagogia. Ricordo ancora gli struggenti versi di Ungaretti, la malinconia di Gabriele D'Annunzio, di quando in classe alle medie trovavo i versi di Ungaretti troppo forti per la mia sensibilità. Ma non per questo li ho rimossi, anzi sono quelli che non ho mai dimenticato. 
Così, lo scorso settembre, ho chiesto il nulla osta per trasferirmi al Magistrale, l'attuale Liceo “Varrone” di Cassino. Dopo qualche giorno sono entrata a far parte del V A SEC (liceo delle Scienze Umane, opzione Economico-sociale) del corso diurno.
Per me è stato uno dei giorni più belli della mia vita; quando sono entrata ho pensato che avevo atteso quel giorno per trentadue anni: ero felice!






Nonostante la stanchezza organizzativa scolastica e familiare, entro ogni giorno a scuola contenta di seguire le lezioni e di condividere con i miei compagni di classe, perlopiù diciottenni, opinioni e progetti.
Se Ungaretti vicino alla morte rivalutò la grandiosità della vita, noi dovremmo valutare la bellezza della conoscenza ogni giorno. E se Leopardi nel suo pensiero pessimistico dice che l'uomo fa parte di un meccanismo cosmico, e quindi la felicità e il piacere sono difficili da raggiungere, noi quanto meno ci dobbiamo provare.






Di sicuro nei cassetti della nostra anima qualcosa che ci può rendere felici c'è sempre.
Ah, dimenticavo,  sono nata in un freddo giorno di gennaio e correva l'anno 1969… Poiché siamo nell'era tecnologica vorrei mandare un messaggio a tutti, giovani e adulti: se la felicità si dimentica di noi, abbiamo il dovere di andare a cercarla, poiché la vita è il dono più bello che si possa ricevere ed è un peccato sprecarla.



                                                                   
     Assunta Vanigioli

Classe V A
Liceo delle Scienze Umane
opzione Economico-Sociale



















giovedì 24 dicembre 2015

IL VESCOVO MONS. GERARDO ANTONAZZO INCONTRA I RAGAZZI DEL “VARRONE”

CASSINO, 18 DICEMBRE 2015

Quanto conta la tua scelta?... Sono queste le parole che da ieri riempiono la mente e il cuore di noi studenti del “Varrone”, da quando, cioè, mons. Gerardo Antonazzo ci ha raggiunti a scuola per parlarci di Cristo. 

Seconda assemblea d’istituto dell’anno. Siamo in auditorium: la discussione sulle dinamiche scolastiche è interessante, ma Natale si avvicina e siamo tutti desiderosi di vacanze, l’attenzione non è al massimo, l’aria di festa ci elettrizza e ci distrae… E tra poco arriverà il Vescovo: sarà anche l’emozione di incontrare da vicino un uomo di Dio a renderci euforici, in un momento in cui dichiarare e testimoniare la propria fede non è né comodo né facile.

La benedizione del vescovo prima dell'incontro con gli studenti
Un improvviso tramestio nell’atrio ci avverte che il Vescovo è qui. Ci alziamo tutti in piedi per accoglierlo degnamente… ed eccolo che entra: sorride, saluta, tende la mano… Sembra davvero un padre lieto di rivedere i suoi figli! Alcuni ragazzi del triennio intonano magistralmente il gospel “Happy day” e mons. Antonazzo partecipa con trasporto al canto, battendo le mani a ritmo insieme a noi.


È davvero un’icona di semplicità e simpatia, in pieno stile francescano! Qualcuno recita una poesia, qualcun altro suona il suo strumento musicale: ciascuno vuole rendere omaggio al Vescovo, che, dal canto suo, si commuove e apprezza il dono dei nostri talenti personali.
Poi avviene l’incontro: attraverso le sue parole di fede forte, chiara, sicura, sentiamo realmente accanto a noi la presenza del Cristo fatto uomo. È questo il vero significato del Natale, la sua essenza più profonda: Dio si è fatto come noi per farci come Lui, si è fatto Figlio affinché noi potessimo essere perfetti come il Padre. Ci ha mostrato il suo volto misericordioso e ci ha insegnato la forza del perdono: è un Dio che non resta mai uguale a se stesso, ma cambia con noi e per noi. 


L'abbraccio con Francesco, uno dei "musicisti"
Allo stesso modo ogni Natale è diverso da quello già passato e da quello che verrà, perché ogni volta Cristo rinasce a vita nuova nel cuore di ciascuno di noi. E non solo il 25 dicembre, ma in ogni momento della nostra esistenza! Che senso avrebbe, infatti, ricordarsi di Cristo un solo giorno all’anno? …O è Natale tutti i giorni o non è Natale mai! In questo modo lo spirito natalizio non si limita a un superficiale consumismo, ma diviene denso e speciale per ognuno di noi.  E tuttavia luci colorate e festoni scintillanti ci distraggono dalla Luce vera che brilla nelle tenebre… E continuiamo a non vederla, a non accoglierla, a chiudere le porte a Cristo, come l’oste di Betlemme duemila anni fa.

Ma Dio è paziente e sa attendere, sa che prima o poi apriremo gli occhi e per questo continua a mostrarci la via della felicità già su questa terra, in questa vita! Perché Lui vuole che i suoi figli siano felici! E allora… quanto conta la nostra scelta? Molto, perché siamo noi che dobbiamo scegliere di seguire quella via, che non sarà sempre larga, diritta e ben lastricata, che spesso, anzi, sarà tortuosa e accidentata, ma di certo ci condurrà alla meta sicura.

Il "selfie" del vescovo con Fabio (rappresentante degli studenti), la prof. Giannitelli (che ha curato l'incontro) e gli altri protagonisti dell'evento
Quanto contano le nostre scelte, allora? Tanto, perché da esse dipende spesso anche la felicità altrui, anzi, possiamo affermare con certezza che non esiste vera felicità se non condivisa! La lingua parlata, la religione praticata, il colore della pelle… tutto diventa motivo di crescita e di arricchimento interiore se nel cuore regna la misericordia, necessaria premessa affinché la Terra diventi a sua volta il regno della pace e della giustizia. 

Il vescovo con la preside de Vincenzo, i rappresentanti d'Istituto  e le proff. Giannitellie  e Massaro
È davvero interessante ascoltare quest’uomo: sa catturare le nostre menti, le nostre anime e sa farci provare emozioni profonde con le sue parole ricche di significato… Ma noi scalpitiamo, vogliamo conoscere, imparare la vita e siamo già lì sul palco in dieci o quindici a fargli domande… È sicuro che siamo destinati alla felicità? Lei l’ha trovata la strada giusta? Come si fa sentire la vocazione? Qual è il vero significato della parola amare?... Quanti dubbi, quante incertezze, quanta sete di verità! E per tutti il Vescovo ha una parola, un ammonimento, un consiglio prezioso. Faremo tesoro di quel che ci ha insegnato: anche il nostro futuro sarà frutto della scelta personale di ciascuno, per cui dovremo percorrere la nostra strada senza lasciarci condizionare dagli altri, trovando il giusto percorso che Dio riserva a ognuno di noi.


Buon Natale, dunque, Merry Christmas, Joyeux Noel, Fröhliche Weihnachten, Feliz Navidad… e che tutte le lingue del mondo si uniscano nell’unica lingua universale: l’amore.



                                                                                       Classi I ASU, I BSU, I CArt.
                                                                                    (con la preziosa collaborazione
                                                                                     della prof. Rossana Margiotta)
 































giovedì 3 dicembre 2015

Redazione "Varrone": LA DEPRESSIONE. Il guerriero perduto e lo sciamano...

Redazione "Varrone": LA DEPRESSIONE. Il guerriero perduto e lo sciamano...: Presentazione del libro del prof. Ettore Pasculli Lunedì 30 novembre, alle ore 10.30 presso l’Università degli studi Lettere e Filosofia di...

LA DEPRESSIONE. Il guerriero perduto e lo sciamano scomparso

Presentazione del libro del prof. Ettore Pasculli
Lunedì 30 novembre, alle ore 10.30 presso l’Università degli studi Lettere e Filosofia di Cassino, ha avuto luogo la presentazione del libro:  “La depressione. Il guerriero perduto e lo sciamano scomparso” di Ettore Pasculli, psichiatra, psicoterapeuta e docente alla facoltà di medicina della Sapienza di Roma.  Noi della classe V a del Liceo delle Scienze Umane (Istituto Magistrale “Varrone” di Cassino) abbiamo partecipato a questo evento, accompagnati dal prof. Roberto Folcarelli,  perché alcune tematiche (soprattutto a carattere antropologico) fanno parte del nostro percorso di studio.

Il prof. Ettore Pasculli e la dott.ssa Alessandra Zanon

Oltre all’autore sono intervenuti al dibattito il Dottor Giovanni De Vita, la dott.ssa Pamela Papetti,  la dott.ssa Gioia Marzi, la dott.ssa Alessandra Zanon e il dottor Simone Nifesi, alla presenza di molti studenti universitari, oltre tante altre persone interessate.
Nel suo libro, il Professor Pasculli affronta il tema della salute “mentale”individuale, con il problema della malinconia, ovvero una sindrome affettiva caratterizzata da una tristezza morbosa che paralizza l’azione. Ma in questo libro, non è una intesa soltanto come malattia, ma anche come stato d’animo ed emozione.

La "delegazione" del Liceo delle Scienze Umane"


“Quella bella melancolia che mi faceva scrivere”;  attraverso questa frase del celebre poeta Giacomo Leopardi, Pasculli vuole darci una nuova visione innovativa per quanto riguarda la depressione, vista sempre in modo negativo, un cancro, una prigione, una “lottatrice di sumo accucciata al petto”. Invece, può essere considerata anche come un’energia che spinge ad agire, a reagire, a cambiare ciò che non funziona.



Una fase del dibattito con l'intervento della dott.ssa Papetti


Infatti,  l’autore ha evidenziato in  essa degli aspetti positivi: “la depressione è un nuovo modo di sperimentare (di soffrire, ma anche di godersi il mondo), di vivere e di scoprire il mondo; la depressione è opportunità. Inoltre può essere il punto di partenza per cambiare il modo di vivere; ne è esempio concreto il film vincitore dell’Oscar, <<La grande bellezza>> di Sorrentino. Dunque, la melancolia possiamo anche definirla un inno alla vita”.

Van Gogh "Ritratto del dottor Gaceth" e "vecchio disperato"


“La depressione. Il guerriero perduto e lo sciamano scomparso” è un libro fondato tra fusioni di mito, cultura, scienza e storia. Perché la scelta del mito tra circostanze reali? Perché il mito ci permette di superare il nostro dramma, il nostro pensiero negativo sulla morte, andare al di là dei limiti imposti dalla realtà.
Un altro elemento citato da Pasculli è la dimensione femminile: “un labirinto che invita l’uomo ad entrare per metterlo alla prova”. Ancora una volta l’autore fa riferimento al mito per spiegare una realtà complessa, l’uomo che si sente superiore alla donna, ma senza le donne non è nulla: “non vince se non aiutato da una figura femminile”.

La "Grande Madre"


Di grande spessore gli interventi degli altri relatori. In particolare, il prof. De Vita si è soffermato sulle dimensioni antropologiche rintracciabili nel testo presentato e sulle numerose suggestioni che ne risultano. Una sorta di invito a cogliere la complessità delle vicende umane alla luce di una cultura che riesca a spaziare anche nelle oscure pieghe di tante situazioni esistenziali, non sempre “ordinarie” o consuete.


L'intervento del prof. Giovanni De Vita, curatore della presentazione

Per noi studentesse del Liceo delle Scienze Umane è stato un incontro molto importante, ricco innanzitutto di cultura e anche di motivazioni, comunque fondamentale perché la presentazione del libro ha toccato tanti settori del sapere che riguardano fortemente i nostri studi (dalla psicologia all’antropologia, dalla pedagogia alla sociologia). Un’importante occasione per accrescere le nostre conoscenze e per iniziare a proiettarci nel mondo universitario.


Ilaria Nittolo e Ilaria Tersigni
Classe V A 
Liceo delle Scienze Umane
IMS "Varrone"











venerdì 27 novembre 2015

IL DONO PREZIOSO DELLA VITA

« La tua vita è un dono prezioso, non gettarlo via ».
Recita così il cartello all'entrata della “Aokigahara”, la “foresta dei suicidi” in Giappone: è considerato il luogo ideale i cui morire per via della sua estrema pace e tranquillità: è qui che, tra gli altissimi alberi dalle foglie verde smeraldo, almeno trenta persone all'anno dal 1950 si tolgono la vita.

 Il Giappone, oltre ad essere l'isola delle meraviglie in campo tecnologico, è anche il paese del bullismo, diffusissimo sin dalle scuole elementari, ed è anche il paese con il più alto tasso di suicidio al mondo tra gli studenti, almeno secondo alcune tra le più accreditate ricerche.

La "Foresta dei suicidi" in Giappone

Nei tempi antichi il suicidio era considerato prova di assoluta innocenza ed orgoglio: i samurai praticavano l’“harakiri” (« taglio del ventre ») davanti ad una commissione di loro pari affinché dimostrassero la purezza della propria anima che, secondo la loro cultura, risiede nella pancia.
Anche gli italiani ne sono vittime, ma non per onore; tra i giovanissimi è causato dal bullismo che si fa sempre più spietato a causa di Internet ed anche la crisi economica, in pieno aumento, ne è complice; i casi di omicidio-suicidio sono, purtroppo, quasi all'ordine del giorno.
Eppure, il suicidio è considerato uno tra i peccati più gravi per la religione in quanto implica il rifiuto della vita che è dono di Dio. Tuttavia, persino Internet ne è stato “contagiato”: blog e forum spuntano come funghi ed agiscono a mo' di setta segreta, scambiandosi consigli su come e quando farlo; altri promuovono immagini di ragazzi e ragazze con tendenze suicide che mostrano frasi “contro la vita” e tagli sugli avambracci alla stessa stregua di modelli da imitare a tutti i costi.
La stessa letteratura e l'arte sono piene di figure romantiche e tragiche che hanno trovato “salvezza” nella morte: Madame Butterfly che non riuscì a sopportare la relazione extraconiugale del capitano che aveva sposato; Werther che si arrese dopo che la sua amata andò in sposa ad un altro; Jacopo Ortis che aveva perso ogni speranza e Lucrezia per evitare l'onta dello stupro. Ogni volta che si evoca lo spirito del suicidio, ogni volta che lo si vede passare, le domande sono sempre le stesse: perché?



Cosa spinge una persona a desiderare di morire? Probabilmente dolore, debolezza e solitudine possono essere macigni pesanti da portare, specie per chi non è abituato a combattere o a resistere. Spesso il seme della morte germoglia in seguito ad una pioggia di violenza più o meno lieve: abuso, fallimento...
C'è chi è forte come una quercia e sarà capace di resistere all'onda e chi viene travolto, troppo fragile per battersi e si lascia trascinare, abbandonato.
Spesso gli aspiranti suicidi sono trasparenti ed incompresi, urlano messaggi invisibili ed incomprensibili agli altri e le loro grida di aiuto scoppiano nel rosso feroce del loro gesto. Vengono accusati di vigliaccheria, debolezza, addirittura pigrizia senza sapere nulla del peso che gravava sulla loro anima e  di quante volte hanno gridato senza mai essere uditi. Da altri ancora vengono compatiti per la loro protesta contro la crudeltà della vita stessa e di coloro che avevano attorno, troppo insensibili per non essersene resi conto.



L'esistenza può essere considerata come un maestoso albero: in certe stagioni è rigoglioso e sano e splendente e fiorito, proprio come lo sono certi momenti felicemente trascorsi; in altre è spoglio, triste, malato, privo di linfa vitale che non appena lo si vede verrebbe voglia di abbatterlo. È quando quella stessa linfa viene a mancare che nasce il desiderio di un'altra via apparentemente opposta a quella della sofferenza continua. Un rapido dolore per raggiungere velocemente una “vita” serena invece che una sofferenza immensa e continua per un'eternità in paradiso.
Il colpevole non è sempre “uno” e quasi mai chi compie il gesto: l'induzione al suicidio è l'estremizzazione peggiore del bullismo e forse lo è ancora di più far pagare la colpa ad una sola vittima; o l'eutanasia, tema ancora molto controverso in Italia dove ci si accusa a vicenda di egoismo: chi è il vero egoista tra chi sceglie, ormai distrutto, di alleviare il proprio male e chi insiste per tenere duro, prolungando la sofferenza sperando in un miracolo? Non è una questione che può essere sintetizzata con un semplice “vita = giusto”, “morte = sbagliato” o viceversa perché spesso il dolore percepito negli altri diventa nostro e ci divora e non vorremmo che liberarcene.


La vita è un dono che ci viene dato e come nostra possiamo farne ciò che vogliamo, scegliendo le strade che ci sembrano più adatte a noi. Posso decidere di amarmi, accettarmi così come sono o scegliere di rifiutarmi e ferirmi. L'aiuto che cercherò mi supporterà ad affrontare le difficoltà che troverò durante il percorso ed a non crollare davanti ad esse. Eppure, qualora mi ritrovassi solo, senza più alcun aiuto, senza più forze né voce per chiederlo, avrò il diritto di essere egoista e, se lo vorrò, di abbandonarmi alla dolce agonia della morte senza dover essere giudicato vigliacco, pigro o debole; l'esistenza, in quanto nostra, non possiamo mutarla in dovere per non far soffrire gli altri.
Si pensa che tutti i suicidi vadano all'inferno, ma dimentichiamo che forse il loro inferno è stato quello che hanno vissuto sulla terra.


 Bianca Fagioli - V A Liceo Linguistico