Socrate nacque ad Atene,
nel 469 a.C., dallo scultore Sofronisco e dalla levatrice Fenarete. Fu educato
alla maniera dei giovani benestanti. Egli fu un cittadino esemplare e ad Atene
si distinse per il rispetto delle leggi e per la sua attività di educatore dei
giovani. Fu un uomo serio ed equilibrato ma nel 403, caduti i Trenta tiranni e
ritornati al potere i democratici, Socrate venne condannato a morte con la
duplice accusa di misconoscere gli dei tradizionali della città, introducendo
divinità nuove, e di corrompere i giovani.
Era la tarda primavera del
399 a.C. Per capire il processo a Socrate, intentato da un governo democratico,
bisogna interrogarsi sul “personaggio Socrate”, sul suo carattere e sulle sue
qualità morali. Egli non scrisse nulla, preferendo il contatto immediato con le
persone, in particolare i giovani. Sulla sua figura abbiamo molte testimonianze
indirette, tra cui quella di Platone, che fu suo discepolo. Nei suoi scritti,
leggiamo che fisicamente Socrate non era un bell'uomo, ma aveva un animo
eccezionalmente bello e nobile, coraggioso e forte.
Ma perché, considerato l'esempio più limpido e
coerente di uomo giusto, fu processato da un tribunale popolare di Atene e
condannato a morte nel 399 a.C.?
Molti studiosi hanno
analizzato la questione e sono giunti alla conclusione che, finito il governo
illuminato di Pericle (V secolo), la città di Atene dovette subire la dittatura
dei Trenta tiranni e, alla loro caduta, il ritorno di un governo democratico
molto debole e precario. Egli fu condannato, dunque, in una fase di crisi della
politica e della democrazia, in cui il potere avvertiva come una grave minaccia
le istanze critiche di un personaggio popolare come lui. Questo filosofo così
semplice e sorprendente veniva visto come elemento destabilizzante per i nuovi
equilibri politici.
Socrate, dopo essere stato condannato a morte,
affrontò serenamente un mese di carcere e il giorno dell' esecuzione preferì
lasciarsi morire con una coppa di veleno. Può essere considerato l'uomo più
giusto e sapiente di tutti i tempi non solo per il suo rispetto delle leggi,
alle volte ingiuste, ma perché, a differenza degli altri uomini, egli era
consapevole di non sapere. Socrate si sentiva dunque investito di una missione
divina: scuotere gli uomini dal loro torpore spirituale, costringerli a
dubitare delle loro certezze.
Egli metteva in crisi i
suoi interlocutori, insinuando in loro il dubbio. Il suo intento era quello di
dimostrare che coloro che si reputavano sapienti non lo erano affatto, in
quanto non conoscevano in profondità quello di cui parlavano. A tal
proposito egli adottava un metodo che si componeva di due momenti fondamentali:
uno critico e negativo, l'ironia, che consisteva nel demolire le tesi
dell'avversario, mettendole in ridicolo dopo aver finto di accettarle come
giuste; l'altro costruttivo e positivo, la maieutica o "arte della
levatrice", con la quale Socrate intendeva risvegliare nell'interlocutore
il gusto della ricerca della verità attraverso un dialogo fatto di domande e
risposte.
Convinzione di Socrate, inoltre, era che le
singole virtù, o competenze, non bastavano per realizzare una vita davvero
soddisfacente e che era necessario raggiungere una visione unitaria della
virtù, che veniva ad identificarsi con la filosofia stessa, ossia con quello
che si può definire un vero e proprio stile di vita, votato alla ricerca. Da
sottolineare, infine, la concezione socratica dell'anima. Per Socrate
corrispondeva con la dimensione più profonda dell'uomo, ciò che metteva in guardia
quest'ultimo da quello che doveva evitare. La cura dell'anima, attraverso la
continua ricerca, era quindi fondamentale per il semplice motivo che l'anima
era ciò che, secondo Socrate, qualificava l'uomo come tale.
Martina Bellini
Classe III ASU
Liceo delle Scienze Umane - Istituto Magistrale di Cassino
Martina con la classe III Asu |
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